“In questi 10 anni ho visto di tutto a Parma, ma che venisse concessa l’autorizzazione ad aprire una pizzeria in franchising all’interno delle poste centrali, in un bellissimo palazzo liberty tutelato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti e meta di un continuo pellegrinaggio di turisti, qualcuno me lo deve spiegare. Ma lo deve spiegare molto bene.
Questa era l’entrata delle Poste Centrali in via Macedonio Melloni, ora è una pizzeria.
Evviva Parma Città Creativa per la Gastronomia dell’UNESCO!
Avanti così per altri 5 anni, finché i parmigiani non si sveglieranno”.
Così un cittadino parmigiano sui social.
Verissimo. Un vero scempio. Un pugno allo stomaco e uno schiaffo al patrimonio artistico di Parma
A dire il vero nello stesso palazzo della Riserva lato via Cavour c è un bar ma in stile liberty e non da’ così fastidio.
A quando una kebaberia?
Davvero inspiegabile avere concesso l’apertura di una pizzeria nella ex sala di accesso alle Poste Centrali di Via Macedonio Melloni. Non sembra siano stati fatti cambiamenti irreversibili, ma rimane il fatto che l’estetica del luogo ne risulta deturpata. Lo stile liberty della porta è sovrastato dalla brutta grafica della pizzeria, per giunta di colore rosso. Ignoro chi sia responsabile di questa deturpazione di un sito che ha una storia fatta anche di bellezza. Se proprio era necessario collocare lì un punto di ristoro, perché non un bar-pasticceria-sala da te’, imponendo però una continuità di stile e di tinte?
In città come Bologna, Torino, Lucca, ecc. si è cercato di mantenere lo stile – insegne comprese – di vecchi bar, ristoranti, tabaccherie, drogherie e negozi. A Parma no. Man mano nel centro storico vecchi esercizi con eleganti affacci sono stati sostituiti da nuovi negozi incongrui, con uno stile adatto solo a costruzioni coeve. All’inizio di Via Cavour, dove si trovava la storica Pasticceria Bizzi, si sono succeduti vari negozi che hanno stravolto l’estetica di un palazzo antico. In oltretorrente il bel cinema-teatro Ducale, ampio e con un’ottima acustica è stato smantellato e al suo posto c’è una banca non certo più bella. Ma l’elenco è purtroppo lungo. Lecito però chiedersi perché mai una città che si vanta fin troppo di un prestigioso passato trascuri tanto la sua storia, esaltando nel contempo la tradizione culinaria. I motivi economici non sono una sufficiente scusante: distruggere e ricostruire – oltre che insensato – può essere più oneroso che conservare, rispettando l’armonia dei luoghi. Lo smantellamento della frequentatissima vecchia Ghiaia, con l’installazione della tettoia, ha comportato – oltre al costo dell’opera – lo sfratto dei banchi fissi. Sono stati danneggiati sia i clienti abituali – residenti in centro o in oltretorrente – sia i commercianti. Il rapporto costi-benefici è stato nettamente svantaggioso. In Ghiaia ora c’è grande afflusso solo nelle due mattinate di mercato (mercoledì e sabato). Ma che mercato? Un numero esagerato di banchi di abbigliamento – molti di usato – e poco altro. Solo tre i banchi con frutta e verdura, però in Via Carducci. Al pomeriggio e negli altri giorni della settimana – quelli dei banchi a “tema” – la Ghiaia è il più delle volte semivuota. Non è più un punto di riferimento – e di incontro – per la spesa quotidiana; è invece una delle cause del calo di attrattività del centro. E il suo aspetto non è certo migliore di prima, sia quando è stipata di vestiti vari che nei momenti in cui il numero dei venditori dei banchi – a “tema” – supera quello degli acquirenti. Non è bello a vedersi e non invoglia ad andarci né i parmensi né i turisti. Per fortuna ci sono buoni ristoranti a rendere più attrattiva la Ghiaia e i borghi limitrofi.
Dal punto di vista turistico la bellezza e la piacevolezza rivestono un ruolo innegabile e non è da escludere che il commercio in centro (Ghiaia compresa) potrebbe ravvivarsi attraverso un’offerta di prodotti e servizi di qualità, in luoghi gradevoli e accoglienti.
Mi scuso: forse il mio commento è troppo lungo. Inoltre vedo ora che – rispetto agli altri – è tardivo. Penso tuttavia che il tema sia ancora attuale, purtroppo.